lunedì 31 agosto 2009

L' ALCHIMISTA CHE E' IN ME


6° SETTIMANA - COME ACCEDERE ALLE ENERGIE DEI MIEI PUNTI DI FORZA


Obiettivo: Imparare a riconoscere le dinamiche interiori per essere consapevole delle mie potenzialità.


L’ALCHIMISTA CHE È IN ME

L’alchimia si fa a se stessi, agli altri si danno le competenze raggiunte lavorando con alchimia su se stessi.

“Fare il sacro implica l’investimento delle energie nella matrice di fuoco; spetta ad ognuno penetrare la propria violenza interiore” .

Che significa fare il sacro? All’uomo d’oggi serve il sacro?

Fare il sacro forse non è altro che riconoscere pienamente umano ciò che si è sempre attribuito ad un Dio, a degli dei. Significa avviarsi in un percorso di riappropriazione di sé, di determinazione ad affermare ciò che si è nel profondo della nostra natura umana e, nello stesso tempo, assunzione di responsabilità, senza più altri referenti e responsabili cui delegare potenzialità e ruoli salvifici del benessere dell’uomo e del creato.
“Perché mentre sento, sono, riconosco e vivo il mio essere biologico, psichico, animico sono, insieme, già oltre: sono visione, pensiero, abbraccio, forza interiore che mi attraversa”.
Percorso di consapevolezza da sempre attivo nel quale, pian piano, ci si riconosce immessi, che procede con tempi che non ci appartengono del tutto perché Tutto viene coinvolto in questo processo di recupero della piena coscienza della grandezza e potenzialità della natura umana.
Fine della religione, rifondamento della religione.
Quando parliamo di Dio, dell’Essere, della VITA, non ci serve andare a cercarne l’identità, quell’identità che cerchiamo, ipotizziamo… siamo noi: io, tu, lei, lui, le cose, le esistenze…
Serve esplicitarne, consapevolizzarne le dinamiche che sono quelle in cui la VITA si dà all’esistenza, si manifesta, si gode, si conserva e si ripropone sempre nuova.

Non separare le dinamiche dell’Essere che crea dalle nostre, sono le stesse.
Solo quelle che sono in noi, sono.

Questo è l’Essere. Così come siamo, i nostri modi di esistere, sentirci, pensare, amare noi stessi, essere amati ed amare. Vivere il Vuoto, il Nulla, il desiderio, la creaturalità, il creare, l’agire. Sofferenza, rabbia, gelosia, possesso, egoismo, condivisione, gioia, amore, gratuità.
Tutto questo è L’Essere, ciò che chiamiamo Dio.
Tutto ricondurre in noi, riconoscere in noi. Creduto, accolto, riconosciuto, benedetto.

Di conseguenza, l’ontologico non è da cercare fuori di noi, fuori dell’Uomo ma, penetrando noi stessi, troviamo il solo ontologico, il solo senso.
L’ontologico non ha riferimento in Qualcuno o Qualcosa fuori di noi, fuori dalla singola Coscienza.

“Quando giunge il momento di questo grande salto in ciò che è risonanza al Nulla, non bisogna attendere di avere la forza, la forza, ricordiamocelo, sta nel salto” .

Avere la consapevolezza di questo passaggio alchemico in noi attiva le potenzialità del nostro essere creatori di noi stessi e del nostro universo.
Quale il percorso per giungere a questa consapevolezza di essere noi stessi, uomo, donna, bambino, quel Dio sempre cercato fuori di noi?




CONSENTIRE AL REALE DI ESSERE

- Consentire al Reale di essere così come è adesso
- l’accettazione ci libera immediatamente dal dominio della mente e così ci ricollega all’Essere
- sofferenza dell’adesso: nell’accettazione avviene la trasformazione della sofferenza in pace interiore
- consentire al momento presente di essere così com’è
- consentire anche al mentale di essere così com’è: assillante, continuo, insistente, stressante, deviante; è energia, va accolta, solo accogliendola può cambiare e mostrare ciò che realmente è e qual’è la sua autentica funzione in noi.
- consentire al sentire (alle emozioni) di essere, con la sua potenza, insistenza, deformità, malattia: sono tutte le nostre forze interiori da far emergere, lasciar imporsi affinché si sciolgano i nodi in cui le Parti di noi sono imbrigliate, così da percepire la grande forza rinata che abbiamo tra le mani e che siamo.

- È necessario il perdono, ovvero l’incondizionata accettazione della realtà.
Perdono = donarsi al proprio passato e a se stessi, perché è la Vita che si dà e si è data, sempre, in ogni cosa e solo ciò che la Vita vuol essere viene all’esistenza. Ogni cosa che ho vissuto va bene, ho fatto ogni cosa giusta al momento giusto, “così come sono, sono”.
- Perdono è perdonare, innanzitutto se stessi, e lasciar andare.
- Essere perdonati, spesso è dall’altra Coscienza che abbiamo bisogno di essere perdonati.

- Perdono = donare l’altro al suo passato e a se stesso. “Così come sei, sei”.

L’Istante è nuovo. Nell’adesso, c’è tutto ciò che mi serve.

CONSENTIRE A ME STESSA DI ESSERE/ CONSENTIRE ALL’ ALTRO DI ESSERE

- Questa sono: questa che - adesso - mi sento di essere, questa che sono, che sento e che mi passa per la testa. Questa, la sento sulla pelle, più evidente di così. Il sentire mi conduce me stessa, quella autentica, affidabile. Questa, che non mi mente, non m’abbandona, questa che parla di me. Il pensiero, questo, questo che ora mi attraversa “sono” e, nel momento che lo lascio essere in me senza giudizio, mi dà se stesso e se ne va… io mi riconosco più vasta.
Fisso questo istante di corpo/mente reale nell’anima: amandomi così.
Accolgo, decido - volontà - di essere questo che sono.
Il primo effetto è sentire che mi sto abbracciando e che, relativamente a questa parte di me, i problemi non sono più in me, ma fuori di me.
Perché la divisione non è più in me - io sono una - con questa parte di me nella sua modalità di essere. La divisione viene ad essere tra me -uno- e il fuori di me -gli altri- e anche questa potrà essere superata.

Ora posso rivolgermi all’Altra Coscienza, a chi mi sta davanti e dire:
“Questo sei, questo che – adesso - ti senti di essere.
Così come sei, ti riconosco, apprezzo e benedico.
È te che voglio (persone, cose, eventi), nella tua concretezza”.
Non la proiezione di un’idea. Accogliendo te nella tua concretezza la realtà si amplifica, questo permette di attivare forze nuove, che sono in me latenti, ora risvegliate dall’Altro davanti a me.




LASCIAR ANDARE

Si può lasciar andare perché si costruisce dentro.
Sulla mia unità interiore: corpo, mente, anima, unificati in un momento di volontà-possibilità-fattibilità vissuto, integro altre Parti di me.
Raggiunta questa unità in ciò che ora “sono” ecco, avverto… qualcosa di nuovo, un vuoto, un silenzio, una presenza accanto a me. L’unità raggiunta, mentre in me fa toccare il valore che sono, mi permette di relativizzarmi. Colgo la mia essenza nel Tutto e che, non sono il Tutto, altro c’è. “Tu sei Altro da me”.
È la possibilità nuova che mi viene incontro per crescere ogni giorno. Avverto che c’è altro, oltre, oltre ciò che oggi esperimento di me e del mondo.
Intuire e muovermi verso altre Parti di me; lasciarle emergere e viverle mi permette di voltarmi verso “altro” così che, allo stesso tempo, non rendo assoluto e statico ciò che oggi sono. Non trattengo in me stessa l’altro, gli altri, il passato; cerco di lasciare, lascio tutti liberi.

Affrancarsi dalle paure.
Non resta in me un vuoto, sono io che vedo altro di possibile, piacevole da vivere.
E, se adesso fosse il vuoto? Il vuoto che avverto si fa vivibile perché vedo altro di possibile, piacevole da vivere. Il Vuoto è un Pieno di possibilità.
Primo passo è fare esperienza della propria unità interiore su ciò che si è nel profondo e, conseguentemente, avvertire l’unità con l’Altro da sé accolto e riconosciuto per ciò che egli è.
Il passaggio seguente sarà la distinzione di ogni realtà da me, ma solo dopo che l’avrò riconosciuta e integrata, ecco la comprensione-distinzione che supera la separazione…

A fondamento c’è il massimo della concretezza ossia la mia unità nella sessualità gioiosamente vissuta, questa è la base. Sessualità, nel senso ampio e vero di “capacità di relazionarsi e crescere in tutte le parti di sé”, come dinamica che conduce autenticamente l’essere a se sesso, dinamica che riconduce l’essere a se stesso: riconciliarsi con se stessi, possedersi, fruire del mondo.
Essere canale per l’eros, per la forza vitale che è la manifestazione del divino.




CREDERE IN SE STESSI

Con quel Credo, quel tipo di Credo che è lo stesso che abbiamo sempre attribuito ad un Dio, il Credo talmente forte, unico e potente da diventare creativo.
Quel Dio, la VITA, che talmente crede in se stessa da generare da sé la Creazione, come manifestazione del Sé.
Credere in me stessa, in ciò che sento-penso-sono, così come la VITA crede in se stessa, perciò crea.
Niente di meno.
Credere nell’Altro, in ciò che è. Il primo incondizionato riconoscimento di me stessa mi permette il pieno-incondizionato riconoscimento dell’Altro.
Credere che genera potenzialità, forza. Sapendo sempre che sono creatura e che, come creatura, il mio credere è partecipazione a Dio, ovvero alla Vita che crede in se stessa, così che la potenzialità che passa, che mi attraversa, è la potenzialità della VITA. Io sono sempre, comunque data all’esistenza e l’artefice di questo manifestarsi del Tutto in me è ancora e sempre il Tutto.
Questo va colto dal suo atto potenziale di creazione: quando mi connetto a quel “In Principio” che è sempre presente e attuale nell’Essere, nel Tutto. L’Essere cui partecipo, che nel suo essere sempre presente a se stesso, crea.

La creazione è atto di ogni momento, del presente, nel tempo, oltre il tempo in cui noi siamo come creature. “L’apostolo Giovanni non parla di un inizio storico che sarebbe quindi per noi un passato, ma di un principio, presente al centro di ciascuno di noi, l’oriente dell’essere” .
Io sono data anche nel mio agire che diventa creare.
Dire “io sono data” è il mio riconoscermi Nulla, già riempito dalla potenzialità del Tutto perché, mentre prendo coscienza della grandezza del mio essere, anche mi abbandono all’Essere che sono e che mi trascende.
“E l’oriente afferrato risponde divinizzando l’istante!” .
È essere consapevoli di partecipare e fruire di queste modalità dell’Essere.
L’Oriente simbolicamente, è la nostra parte intuitiva, il femminile dell’essere.

Dal sapere chi sono…




… L’IMPERMANENZA

Ogni traguardo della nostra crescita espande la nostra coscienza, ogni cosa che ci attraversa ci
lascia qualcosa, ma noi siamo oltre; ogni situazione ci permette di vivere e gioire di una Parte di noi, ma noi siamo sempre Oltre, sempre Altro da ogni identità e situazione.
L’ineluttabilità, che non è l’inevitabilità, ma è la via d’uscita, la rinascita.
Ci sembra di aver raggiunto una certa pace, ecco che una situazione ci pone davanti ad un nodo o ad una separazione e ci destabilizza, non è un “problema” o un “ostacolo”, è l’occasione che il nostro sé è andato a crearsi per integrare una parte di sé.
Nodi, impasse, separazioni, dolore… sono le occasioni per crescere che la nostra Anima vuole incontrare.

Cominciamo col guardare diversamente e diamo un altro nome, un’accezione positiva a ciò che “ci sembra” solo ostacolo, problema, chiamiamolo: possibilità, occasione, sfida, appello, via per conoscersi.
“Positivo” non significa solo bello, buono, bravo, se cerchiamo di riportare tutta la realtà a queste qualità ci perdiamo buona parte della vita; a volte le forze della vita sono oscure… e sono le più forti, dove la forza vitale è grande. Una persona, una situazione che catalizza la nostra forza interiore va osservata nella sua “funzionalità”, questa è la sua “positività”. Quanto una determinata cosa, persona, situazione è funzionale, utile, alla mia evoluzione.
Non significa “usare” le persone, so che sempre io sono responsabile del mio agire, sia consapevolmente o da quei livelli di me che ancora non comprendo appieno, per cui non proietto sull’altro aspettative o responsabilità, tutto riconduco, sempre, alla mia persona. Da qui riconosco, l’affinità o la diversità. Sento che una cosa, persona, situazione mi è a specchio, è come me, oppure, una volta compiuta l’integrazione e la comprensione di un evento, posso dire: “No, non sono io. Non sono questo. Posso esserlo stato, certamente, altrimenti non lo riconoscerei, ma quella modalità non mi appartiene più”. Solo quando questa distinzione avviene -dopo l’integrazione- è efficace, vera, perché ci siamo confrontati con l’evento, non l’abbiamo rimosso o evitato. Ci siamo giocati, visti in quel modo di essere, abbiamo integrato al nostro sé ciò che è connesso ad una determinata realtà, persona, situazione, poi sappiamo distinguerci, fare il distacco.
Oltre, sempre oltre, ecco l’impermanenza, ciò che ci permette di interagire con la realtà senza usarla o essere usati.
Per questo è necessario integrare, chiamando “Energia Unificante”, tutto quello verso cui abbiamo più resistenza.

LA FORZA




Guardiamo tutte le forze ed energie che nelle interazioni si sono scatenate, messe in movimento, osserviamo la messa in scena di tutto il nostro teatrino interiore, perché questo proiettiamo poi all’esterno. Cogliamo la forza di emozioni e sentimenti, soprattutto quelli che consideriamo difficili. Avvertiamo la forza, sentiamola -tra le mani- e… orientiamola. Mandiamola a fare il lavoro di unità tra tutte le nostre parti ora in conflitto o sottoposte a pressioni. Le forze ci fanno avvertire l’unità che c’è sotto l’apparente separazione delle cose.
Percepire le cose, le Parti di noi e sentirci in esse; ascoltando ne misuriamo la forza e la nostra forza: chi siamo, chi sono.
Sentire, conoscere, accogliere, stare, non separare.

Incontrare, nominare gli animali interiori, tutte le emozioni e i sentimenti, distinguersi da essi per coglierne la forza, non separarsi da essi, non disconoscerla. Essa è la nostra “psiche animale”, ciò che siamo in fondo a noi stessi, la parte più vitale, autentica e intelligente.
Gli animali interiori sono le nostre energie che ancora non conosciamo, perciò non possediamo.
Stati di noi in cui non ci sentiamo e non sappiamo di abitare, quelli che fatichiamo a riconoscere nostri perché il giudizio ce li fa distinguere e separare da noi stessi. Essi sono, invece, le nostre Parti più forti e feconde, le nostre energie strutturanti.

Bisogna attraversarle, conoscerle come Parti di noi e distinguerle da noi, non per separarle, ma per riconoscerne la fecondità ed integrarle. Sono i nostri nodi: ciò a cui resistiamo, che ci fa paura, ciò che di noi rinviamo alla responsabilità dell’altro e che invece è generato solo da noi. Li chiamiamo ostacoli, nemici, gabbie, malattie, brutture, parti scomode, torti subiti o fatti, impedimenti, destino… invece siamo solo e sempre noi quando ci costruiamo dalla nostra fragilità, inconsapevolezza, necessità di sopravvivenza, in fondo, dal nostro essere in cammino.
Parti di noi diventati fardelli, come uscirne?
Per fare esperienza della nostra unità interiore bisogna accogliere e riconoscere come “nostri” tutti i pensieri e tutte le emozioni che ci attraversano.









I PENSIERI: SEPARAZIONE – DISTINZIONE


La questione sta nel recuperare il giusto senso della spada, archetipo che nella tradizione ebraica è lo yod, decimo simbolo dell’alfabeto ebraico, ma che troviamo espresso in altri modi negli alfabeti antichi. Distinguere senza separare - cambiando il punto di vista.

Siamo stati educati a “separare”, questa è modalità che viene dal razionale che, per affermare se stesso, deve separarsi dal resto delle esistenze .
Recuperare il giusto senso della spada, del distinguere senza separare.
Spada diventa congiunzione: due energie pari e contrarie, separate o congiunte, ambedue necessarie.

Il punto essenziale è rendersi conto della dinamica di separazione nella propria vita.
Guardarla, così che si supera e si va oltre.
La dinamica di separazione è il satan, “porta del male”, separazione, tentare di separarci da una parte di ciò che siamo. Dove per male si intende appunto uno sguardo sulla realtà che non corrisponde alla realtà perché questa, di per sé, non è separata ma Uno.
Oppure, in altre tradizioni il satan è “ciò che illumina”, ciò che permette di rendere manifesta una realtà, ancora la funzione di distinguere un’accezione della realtà dal Tutto, senza però avvertirla separata.

È necessario comprendere che ciò che viene alla luce non è migliore o peggiore di ciò che rimane ancora oscuro, non conosciuto, non manifesto. Si tratta di cominciare a vivere l’atteggiamento della comprensione del Tutto “come manifesto-non manifesto” sospendendo ogni giudizio. Quando giudichiamo, separiamo e cominciamo ad esistere separati in noi stessi, non più pienamente nutriti dell’alimento essenziale: l’Energia del Tutto.
Energia del Tutto che viene/sta nelle concrete situazioni della vita.
“Satan”, ancora, nella sua accezione originale, è avversario colui che si pone di fronte a me così da permettermi di conoscere il mio essere limite di fronte al Tutto.
È, allo stesso tempo, ciò che mi permette di vedere ciò che sono proprio perchè mi delimita, mi distingue dal Tutto. È salutare, necessario, che, sapendomi nel Tutto, io anche sappia che il Tutto mi trascende. È senso di realtà, umiltà.
“Satan” è semplicemente una CHIAVE per rendermi conto di ciò che sono e come comprendo la realtà.

Ritorniamo alla giusta fruizione di questa energia quando cogliamo noi stessi e le cose fuori dal giudizio perché, ciò che provoca la separazione, è appunto questo passo ulteriore che fa il mentale separando me stessa da ciò che colgo attorno a me. Anzi, non è il giudizio per se stesso che provoca la separazione, esso è necessario per dare definizione a me stesso e alle cose ogni volta che raggiungo un livello di consapevolezza.
È fissare quel giudizio, renderlo assoluto, escludendo perciò altre possibilità di espansione a me e alle cose che mi separa dal fluire del Tutto, dalla Prosperità, dalla Vita che ogni giorno si dà a me in mille nuove creazioni.
- Solo noi uomini, tra le creature, abbiamo la dinamica di separazione, in effetti il male e la sofferenza sembra stiano, soprattutto, nelle dinamiche umane.
- La separazione è, perciò, dinamica mentale, è la mente che per esistere separa un aspetto della vita da un altro.
Non c’è una realtà separata, da giudicare, la distinzione serve per la conoscenza. Nel tempo, il mentale ha cominciato a fissare un aspetto volendo escludere altro, un pensiero ha cominciato ad esistere per se stesso, o meglio noi gli abbiamo dato il permesso di esistere così, indipendente dalla complessità in cui è inserito. Il pensiero, il singolo pensiero ha preteso di perpetuarsi, costituirsi ad esistenza, continuare ad essere, e qui la distinzione è diventata separazione. La mente ha creato il tempo e lo spazio “relativi”, artificiali, per accaparrare, per essere, per continuare ad essere, oltre il presente, quel determinato pensiero. Ha cominciato a creare un mondo fittizio: di un semplice sguardo nel reale ha fatto un’entità e per mantenerla ha creato il tempo e l’identità. La dinamica della separazione serve come percorso per conoscersi, rendersi conto dei processi interiori; per fare il distacco nell’adesso da ciò che si sta vivendo e guardare oltre. Va applicata ai dinamismi mentali non per cogliere il reale e per coglierci nel reale. Noi, come esistenze dobbiamo poter rimanere in contatto con il Tutto, anche quando il mentale separa.

In noi, Esistenze, non la separazione, ma l’accoglienza e la congiunzione come atteggiamenti e, da questi, alla consapevolezza e all’integrazione verso il Tutto che siamo. Le forze dell’autonomia si trovano non separando ma congiungendo, così l’andare verso le cose, le situazioni, le persone.
“L’unica fonte di certezze assolute è il pensiero metafisico, ma esso inculca la coincidenza degli opposti” .

Il cuore è in noi la dimora di Dio tra gli uomini, ovvero, il luogo ove è possibile coglierci oltre le separazioni.

Le separazioni che sento/soffro sono separazioni da me stessa. Non perché qualcuno o qualcosa è venuto a mancare o manca sento il vuoto; è perché io faccio mancare qualcosa o qualcuno - a me stessa - io vengo a mancare a me stessa o ad una parte di me. La separazione da qualcuno-qualcosa all’esterno è la conseguenza del mio non guardare più una parte di me. Qualcosa in me ha scelto di lasciare una condizione, un aspetto di me. Ecco che all’esterno sembra manchi la situazione corrispondente ma è solo il nostro negare una realtà che ci impedisce di averla davanti e gustarla. Si tratta solo di una dinamica di cui renderci consapevoli, dopo di che, imparare ad usare diversamente ossia per affermare la nostra migliore e prospera realtà, quel meraviglioso congegno che è la nostra mente.

Le Parti di me vengono a me attraverso il mondo, è sempre un fatto di credere/volere e di toccabilità. “Me stessa” è nel mondo fuori di me, è il mondo fuori di me, ma le esistenze (cose, persone, eventi…) le sento mie, appartenenti e abbasso le barriere così da accoglierle se prima le riconosco in me.
Comprendiamo il mondo mentre, dal mondo, veniamo compresi.
Detto in altri termini il mondo è quell’universo di materia intelligente che sono, che mi abita e circonda. Le cose, le persone, gli eventi sono tutto ciò che io creo dal mio pensiero e che mi regalo. Sono sempre io l’artefice della qualità della mia esistenza, del mio benessere o malessere. Ecco perché la dinamica è accogliere, lasciar essere, lasciarsi attraversare dalle cose per quello che sono, dato che io stessa le ho originate.

Lasciarsi attraversare dai sentimenti/pensieri/emozioni che gli esseri che incontro suscitano in me. Senza aspettative verso l’altro, anche con le aspettative, tutto è Vita: l’altro mi riconduce me stessa. Riconoscere me stessa nell’altro non con un atto teorico, del pensiero, ma col toccare, non si può esimersi dal mettersi in gioco, altrimenti il mondo non arriva.
Toccare è trafficare se stessi, mettere le mani in pasta, esser-ci nell’altro e lasciar essere l’altro in noi.


LE EMOZIONI: EMERGONO LE FORZE

La dinamica della separazione conduce al giudizio su di sé e sulle cose e continua con la resistenza a ciò che abbiamo giudicato.

Tutto ciò a cui resistiamo fa parte di noi, dato che è. Sono le nostre Parti energeticamente più forti. Per superare la separazione e lavorare sull’integrazione non basta accogliere l’istanza del pensiero, bisogna lasciar essere l’emozione sia quando è piacevole, che quando è scomoda, sofferta e destabilizzante.
Integrare innanzitutto me stessa, nel mio essere indefinito, confuso, non risolto, e le persone, le situazioni più difficili: la persona o l’oggetto che abbiamo davanti e catalizza la nostra reazione è comunque reale, è parte della mia realtà di adesso e, se m’interpella così, significa che tocca una parte di me su cui è importante che io lavori, una parte di me in cui, ancora, io sono sconosciuta a me stessa.
Perché l’altro sia il catalizzatore che mi permette di conoscermi, di integrare e crescere, l’unica cosa da fare è accogliere senza separare.

Accogliere l’istanza del pensiero e insieme, l’istanza dell’emozione, qualunque sia.
Qui non serve capire, basta lasciar essere l’emozione in se stessi e, per quanto è possibile, ascoltarsi e guardarsi.
Sentire e conoscere gli animali interiori; accoglierli, distinguerli ed integrarli, significa lasciar essere in noi le forze istintive e forti e lasciarsi essere in esse.
“Adesso, io sono la mia rabbia, la mia gelosia, la paura, il possesso, l’ansia, l’angoscia, la malattia. Questo sono ”. Accogliermi così, senza voler cambiare niente di me. E poi, tanto è forte questo sentire che quasi, io, non sono, c’è solo rabbia, gelosia, malattia, paura… persa nella mia disarmonia. Accogliere questa destabilizzazione; l’emozione, il sentire racchiudono le forze interiori istintive. Quelle che emergono dalla nostra Anima.

La cascata

Sono qui,
davanti a questo fuoco d’acqua
… e pascolo
la mia pecorina…

“Sono il Buon Pastore delle mie emozioni. Qualsiasi, qualunque mia emozione è, con amore, condotta al pascolo. Non sono il padrone, sono il Buon Pastore, Signore dei pascoli delle mie pecorine”, “ma, a volte, mi ritrovo nell’ovile… pecorina confusa tra le mie pecorine”.

Poco a poco percepisco questo sentire per quello che è: una forza. Animali.
Ora, lo colgo distinto dal significato, dal giudizio che fino a ieri le ho dato. Ho una forza tra le mani, l’avverto, e sospendo il giudizio.
Fremo, vibro in questa forza. La riconosco come parte di me, creo consapevolezza.
Qualcosa si muove allora, mi sposta dalla staticità in cui l’essere posseduta da quel sentire mi costringeva: sono questa forza che ora riconosco mia e poi, ora so: sono ancora Altro.
Osservare quella Parte di noi che sta sentendo, che sta soffrendo, sapendo che noi siamo questa Parte, solo che stiamo facendo resistenza al suo esistere.
Stare con l’energia di dolore che ci ritroviamo tra le mani, allora cominceremo a percepire che, mentre siamo questo dolore siamo anche Altro, Oltre.
Tentare di spostarsi verso l’Altro, l’Oltre che, comunque, siamo.

Lavorando con questa dinamica arriviamo anche al giudizio, ma è un giudizio che non separa, semplicemente afferma, dice, nomina un qualcosa di noi col quale adesso, da osservatori, non ci identifichiamo più, che riusciamo a cogliere con distacco da noi stessi.
Nel distacco vediamo una parte di noi mentre già siamo in uno stato dell’essere più ampio, più completo, questo ci permette di lasciar andare il mentale, l’identificazione con l’oggetto: persona, cosa, emozione e possiamo giudicare, nominare, senza separare.
Questo è il cammino per renderci conto della nostra Anima animale, della psiche animale che siamo. È fondamentale lasciarla essere e integrarla consapevolmente. Anche lasciarla essere prima ancora della consapevolezza, perché è lei che ci porta verso il nuovo, che ci guarisce, ci dà sempre nuova vita. È la psiche animale che ci crea, ci concede e ci conduce le situazioni importanti per vivere questo corpo e questa Terra nel benessere.




PENSIERI NUOVI



l mentale e il sentire, accolti e integrati sono la mediazione, il ponte che ci traghetta nella piena consapevolezza di ciò che siamo.
Oggi ci è chiesto, da quella Parte di noi che già ha visto, nella visione, la gioia dell’essere uomini, donne, di andare verso possibili nuovi: per uscire dall’impasse del nostro essere uomini legato alla sofferenza, bisogna creare orizzonti di pensiero nuovi.
Anche superare la morte, ossia integrarla permettendole l’effettivo ruolo che ha all’interno dalla Vita, oltre quella cultura di separazione e dolore che ad essa s’accompagna.
È un fatto di pensiero-sentire nuovo.
Che significa pensarsi e pensare l’altro in un’altra dimensione? Abbiamo mai creato pensieri nuovi su come esistere in un’altra dimensione? In un’altra vibrazione?

Sappiamo che la realtà è creata dal nostro pensiero, ma ancora non abbiano formulato, pensato, modi di essere nuovi, definiti, sul come potremmo essere dopo quel passaggio che chiamiamo morte. Abbiamo fantasticato abbastanza su quando potrebbe avvenire? Abbiamo rivestito di spazio e tempo e fantasia questi pensieri? Abbiamo pensato che noi possiamo decidere quanto tempo darci ancora in questa dimensione e che i tempi potrebbero allungarsi se qui ci piace stare? Spesso avvertiamo sentimenti ed emozioni nuove, correlate a persone e situazioni nuove. Già sentiamo “altro”… lo lasciamo essere e ce lo godiamo?
Emozioni - Pensieri nuovi… andare oltre il già vissuto, il già conosciuto, l’assodato.
Andare oltre: oltre i luoghi comuni, il pensare ovvio, il sentire controllato, ogni volta che ci rendiamo conto che stiamo ancora attraversando percorsi di vita che sono di altri, fossero anche dei più.
Sentire che i nostri potrebbero essere possibili nuovi.
Questi si generano solo da vissuti nuovi, da situazioni nuove in cui decidiamo di abitare.

Ma perché si può essere nuovi? Perché si può fare questo?
Perché si vede o si è visto Oltre, Altro.
Nel mio universo c’è già tutto, perché non lo godo? Perché mi separo da tante cose.
Essere nuovi significa allargare la visuale, cambiare il punto di vista, scendere a patti con ciò che fino a ieri consideravo non affine a me.
Significa ampliare la mia appartenenza, cominciando a considerare parte del mio mondo quel mondo che fino a ieri ritenevo lontano da me, diverso da me, avverso a me.
È l’Oltre che ci permette di stare con ciò che avvertiamo come impossibile o nemico.
Perché, in fondo a noi stessi, sappiamo che: nemico è quella parte di me che ancora non ho integrato.

Ho un nemico?

Sto nel suo campo.
Divento il mio nemico.
Faccio mio il suo pensiero,
faccio mia la sua intenzionalità
e mi guardo.

Ciò che sento e vedo fa la consapevolezza
che raggiunge me e colui che,
prima nemico,
diventa l’altra parte di me.

La forza del campo del nemico
è l’altra parte di me, della mia forza
e, a me, serve tutta.

Andare verso tutte le energie di creazione.

Nella situazione “x” non so stare nella relazione? nell’intimità, dialogo, condivisione, corresponsabilità…?
Avverto la presenza di un nemico? Ho un nemico? Ciò che sento come nemico: persona, situazione è ciò che catalizza una Parte di me che io ancora non riesco a riconoscere mia e non integro. Io sono nemico a me stessa. Avverto il nemico, l’avversario, l’ostacolo come colui, qualcosa, che mette in pericolo la mia integrità: “si porta via qualcosa che è mio...” ma… non è l’altro che mi porta via qualcosa, sono io che voglio altro.
Io, già so, da una parte ancora molto nascosta e silenziosa di me stessa, che già sono Altro, Oltre, qualcosa di più ampio di come oggi mi vivo; è la novità di Vita che avanza ma che ancora non conosco.

Perché avverto le cose nuove dal turbamento? come minaccia o nemico?
Forse perché spesso la novità spiazza, destabilizza, impone la rottura di schemi, di situazioni, scardina sicurezze e in noi, umani, abituati da secoli e secoli a servire i sistemi, il consolidato, i dogmi, il potere della convenzionalità, si attivano meccanismi di difesa, sensi di colpa, ricatti, rimorsi e tutto questo si presenta con una forza emozionale che ci fa vedere “un nemico”.
Io avverto l’altro come avversario, ma spesso sono io che lo sento come minaccia perchè, investendo tutto il senso di me nella situazione che sto vivendo, sento ogni possibile cambiamento come minaccia. È la paura dell’ignoto, é l’ansia del nuovo che mi dà il senso di minaccia. Sento l’altro come nemico perchè egli è lo specchio di quella Parte di me malata che ancora vuol stare malata perché ha paura, ha poca stima di sé; quella Parte di me che resiste a crescere responsabilmente. Oppure lo sento nemico perchè è come io non voglio più essere, ma esso sta davanti a me per dirmi che, comunque, nonostante il mio desiderio di benessere, ancora mi vivo come “malattia” perché essere come “benessere” implica un tale salto!

Sentire il nemico è l’avvertimento che il mio inconscio, il mio femminile, mi invia per dirmi che questa situazione, in cui oggi sono, è insufficiente per me.
È avvertirmi della ristrettezza della situazione per me.
Mi dice di decidermi a vivermi nel coraggio di essere di più. Perché questa situazione è compiuta, ha dato ciò che mi serviva. Nella paura del nemico, ora, si sta compiendo anche ciò per cui serviva avere accanto qualcuno da sentire come nemico per catalizzare altro da me, perché è il momento di andare oltre.

Ma spesso il nuovo richiede scelte difficili, questo è ciò che sento nemico. Quando colgo questo e decido di incominciare a muovermi, intanto intenzionalmente, verso altro, non avverto più il nemico, mi metto fuori da questo campo, mi do un altro obiettivo, sposto il punto di vista, di conseguenza non avverto più il nemico. In quelle che potrebbero essere le mie incapacità a vivere il presente, una relazione, una situazione nel benessere, sono anche già Altro.
Riconoscere questa mia energia interiore, la paura del nemico, nella sua valenza creativa. Cogliere, accogliere ciò per cui essa esiste per se stessa, mi permette di distinguermi da essa e di affrancarmi dalla sua morsa, dalla sua dipendenza.
Sono questo, sono Altro. Esco dall’impasse, dalla gabbia, mi do dei possibili.
Perché, in fondo a noi stessi sappiamo che: l’impossibile è quella parte di universo cui ancora vogliamo resistere.

Oppure, mi manca qualcosa?
Quel qualcosa non è ciò che non ho o ciò che, ritengo l’altro dovrebbe darmi, è qualcosa Altro - diverso - che ho dentro perciò sento il vuoto.
Se non l’avessi già dentro non lo sentirei, sento “qualcosa” che mi sembra “mancanza di qualcosa”, in realtà è lì, basta solo che io sposti lo sguardo da dove credo/vorrei che fosse e che mi lasci orientare verso quel Qualcosa che in qualche modo mi sta chiamando.
È Qualcosa di importante, di più profondo di quanto posso condividere nella situazione in cui sono. Perché è dalla situazione in cui sono che viene la sollecitazione ad Altro. È perché c’è un pieno, un qualcosa di compiuto, di raggiunto, che si sente il vuoto, la spinta ad Altro che fa emergere in me un volere, una volontà nuova.
Per questo tutto ciò che avverto del mio oggi non mi basta, è relativo, rispetto a quello che dentro mi spinge.
Ogni cambiamento nella nostra vita, soprattutto quello che non vorremmo riconoscere, è il frutto di un compimento.

La forza del desiderio di Altro é la forza del desiderio di quelle Parti di me che vedo riflesse in qualcuno o qualcosa da integrare, da ricondurre dentro me.
La forza dell’attesa di qualcuno o qualcosa è la tensione ad incontrare le Parti di me riflesse fuori di me per riconoscermi. In effetti, già “sento” Altro…
Adesso questa forza del desiderio la riconduco dentro me per desiderare e incontrare me, in quella Parte di me. Sono io che mi sono andata a creare la situazione in cui incontrare questo riflesso di me, perché qualcosa di nuovo vuole viversi.
La Vita vuole viversi e godersi qualcosa di nuovo con me.

Sono gli “stati” della natura che condividiamo con gli altri esseri: cielo, terra, persone, piante, animali, stelle, roccia, acqua… che ci permettono di recuperare e vivere Parti di noi, altrimenti smarrite, per il nostro essere diventati:

Palazzi - pieni di Vuoto, ora… Palazzi - vuoti di Pieno
Palazzi illusori della mente e dell’emozione che hanno imprigionato la forza vitale che adesso erompe, con forza.

Nelle profondità del mio abisso mi vado a cercare con quelle stesse energie che fanno essere le mie emozioni e i miei sentimenti. “Sono” la Forza che mi attraversa e so di essere.
Per questo “sto”, non serve rincorrere, cercare, né evitare, scappare. Tutto viene, tutto va, la forza della Vita ci spinge e ci porta nelle situazioni giuste al momento giusto o lontano al momento giusto, oltre...




SEGRETO n. 6: La strada per rendersi conto del potere di migliorare se stessi e le proprie situazioni sta nella consapevolezza delle dinamiche interiori a livelli di esperienza e comprensione più profondi.








domenica 30 agosto 2009

GLI ARCHETIPI



Come fa ciò che desidero e credo a diventare consistenza, realtà?
A diventare Creazione? Energia creata che riempie il mio abisso?
“Ad immagine della Trinità tutta la creazione respira andando dall’uno al molteplice e dal molteplice all’uno. E la creazione stessa… è espirazione divina, di cui il sabbat è l’apnea prima che, con una inspirazione, la creazione si compia” .
So che se respiro-sento-penso e che se penso-sento-respiro, già sono questo, già ho tutto.
Aspetto ora che qualcosa mi conduca verso il prossimo gesto concreto da fare.
Cosa avere tra le mani di vero, toccabile?
L’adesso, così com’è, è la pienezza.
È questo, ciò che ora sono e vivo che, in Ciò che sono ai livelli dell’anima e della partecipazione al Tutto, sto creando ora per me.

Dallo psicologico… all’ontologico: dove non c’è altro, è perché ad altri livelli di coscienza voglio vivermi così. Sono io come en, en sof, en sof or , che si vuole vivere così, ossia l’Anima che sono.
Sì, sono questo vuoto, questo ho creato per me.
“Adesso Tocco il mio abisso e… immergo le mani in un pieno di possibilità e risorse, bellezza e magnificenza… e nessuno mi toglierà dalle mie mani”. Avvertire la Forza, sentire l’energia. Toccare quello che si ha davanti e io, davanti, ho me stessa che ora vuole, sente così e così si è organizzata per vivere ed integrare una Parte di sé. Creare è dono totale di sé al proprio sentire e credere (seme di me stessa indivisa) e alla sposa, cui ci si pone come appartenente (me stessa).

Adesso anche il seme nuovo deve scaturire da me e l’inizio del suo germogliare sotto terra sarà Suono, una vibrazione nuova emergerà.
Ogni attimo dell’adesso in cui sento, penso e desidero qualcuno o qualcosa, penso al seme di me e invio il sentire, quest’energia che sento, per nutrire il seme, per farlo germogliare.
In questa dinamica trova un senso anche il pensiero ricorrente che diventa attivatore di un’energia, e sarà pensiero ricorrente fintanto che serve attivare quest’energia per inviarla al seme.
Ogni cosa ha il suo senso.

Andare alle leggi ontologiche che sono in tutta la creazione, dalle sue forme più indefinite e più vicine al Nulla che le origina, alle forme più consistenti.
Non c’è altro, per noi creature, fuori di questo.
Le leggi ontologiche sono gli archetipi , i semi nuovi che sono in noi, emergono in ogni parte della creazione, a livello della parte en, en sof, en sof or e in malkut, nel nostro essere Cielo e nel nostro essere Terra/Carne, che è tutt’uno con il Cielo proprio nel suo essere pienamente Carne .
Lasciamo emergere ed accogliamo queste chiavi, questi nuovi semi, affinché ogni essere giunga alla consapevolezza. In termini più semplici, se arrivo all’origine dei miei pensieri e delle mie emozioni posso scioglierli e liberare le energie da utilizzare in pensieri nuovi e più gioiosi.
Le Leggi ontologiche, o chiavi della Vita o Archetipi Viventi sono in tutto l’Universo, sono in noi, essi sono le espressioni, i Nomi, le modalità di esistenza che l’Essere, la Vita, Dio, s’è dato per manifestare se stesso.
Ogni realtà, cosa, essere, uomo è seme ontologico, è chiave, è archetipo perché è manifestazione dell’Essere.

L’uomo, nel suo percorso di conoscenza e consapevolezza ha colto le essenze di questo manifestarsi e le ha fissate in oggetti, segni, simboli conduttori di significato della realtà manifestata. Dagli oggetti, ai segni, le lettere e gli alfabeti, archetipi: le chiavi dell’universo.
Entrare nell’archetipo è liberare l’energia che fa essere l’idea, sperimentarla, comprenderla, integrarla. Conoscere gli archetipi ci conduce alle origini della storia della nostra stessa esistenza. Ecco perché attraverso i segni ritroviamo noi stessi. Come ci siamo strutturati per manifestarci.
Il corpo stesso è un archetipo, così ogni cosa che incontriamo, che emerge nella mente, nella memoria, ogni segno che incontriamo, ogni evento.
Gli archetipi diventano indizi, porte, passaggi per arrivare al senso delle cose e di noi stessi. Gli archetipi ci conducono alle origini dei nostri pensieri, delle nostre decisioni, di ciò che abbiamo deciso di essere, incarnare, sperimentare, ecco perché gli archetipi ci permettono di creare realtà.

Attraverso loro possiamo partire, ogni giorno, al “Principio”, “be-rē-’šīt-” di noi stessi con pensieri e progetti nuovi rimettendoci in gioco. Quando si è fatto il percorso con gli archetipi si comprende che Dio è una dinamica, una Forza, un modo di essere, non un’identità e lo si riconosce nel nostro essere. Si comprende che niente è reale, tutto è illusione, “creazione”, che fuori di noi stessi non c’è persona, oggetto, situazione. Tutto si sospende là fuori.
Si comincia a dire: “Lui non c’é. Lei non c’è. Questa situazione non c’è”. Perché, di fatto, nulla c’è, se io non proietto fuori i miei pensieri.
Allora, adesso, per un po’ non proietto, cioè non penso.

Ecco la solitudine dell’Alchimista: purezza ed essenzialità.
Esisto, perché respiro e tutto va bene.
Oltre, non so… può non esserci niente, il Nulla, se io non decido di esplicitare qualcosa di me.
A questo punto sto, pura e sola, perché ora è un istante di purificazione, lascio andare tutte le creazioni precedenti e ancora non mi sento pronta ad un pensiero creatore tutto nuovo.
Perché lo voglio dal cuore, il più possibile dal cuore il prossimo pensiero, perciò aspetto che emerga, quando il cuore vuole.
L’Alchimista…

Gli Archetipi cui si fa riferimento sono innanzitutto le lettere dell’alfabeto ebraico, in questo contesto le più efficaci per attivare i canali in cui la Forza può passare e noi la possiamo avvertire perché nell’ebraismo la lettera è conduttrice di sostanza, di energia. Ogni lettera ha un valore numerico, una vibrazione, un suono e un colore, un significato ontologico.
Forse, leggere gli eventi attraverso la cultura ebraica, usare la lingua ebraica per interpretare gli eventi, usare la simbologia ebraica per interpretare la lingua e cercare la comprensione degli archetipi, ha il rischio di stare all’interno di un quadro interpretativo preciso e definito (quello del mentale, della proiezione ebraica sul reale, quello di “Jahvè”). Significa, quindi, usare delle chiavi strutturate dal pensiero, dalla lingua e dal pensiero per interpretare la stessa lingua e pensiero: non è totalmente distinto dal campo di ricerca, ne appartiene, e questo va considerato. È come fare critica letteraria, filosofica, storica, con le stesse chiavi che hanno costruito quel pezzo di storia del pensiero o di storia. Non va rifiutato, importante è sapere che si sta facendo critica con le stesse chiavi, dall’interno del contesto in cui si è costruito.
Ogni cosa, per il fatto che esiste, è contestualizzata.
Ma l’origine di questi semi è oltre ogni contestualizzazione, dice Elémire Zolla: “Gli archetipi sono i Viventi vivificanti, più vivi degli uomini vivificati. Appartengono alla vita vivente e non, come questi ultimi, alla vita vissuta. La ragione da sola non li afferra, perché coglie soltanto i significati, non la significatività. Soltanto superando l’isolamento della ragione, la più fine sensitività e la più fulminea capacità di calcolo mentale, si può apprendere un archetipo. Non è un’esperienza da affrontare alla leggera. Spezza il cuore di pietra, scioglie il cuore di ghiaccio, calpesta il cuore di carne e fa ammutolire la “garrula mente” come la chiamava Cusano” .




OGNI PARTE DI ME PUÒ ESSERE INTEGRATA SOLO PERCHÉ SPERIMENTATA, SOLO CON IL CATALIZZATORE CHE ATTIVA QUESTA MIA PARTE.

Quando l’essere sta andando verso una nuova Parte di sé che vuole emergere (le Volontà) crea dentro di sé il catalizzatore che si connetterà con quella Parte di sé.
Sentire la Forza e “stare” nella Forza è: “da questo agisco” , e contiene: “credo in me in ciò che sono, comunque sono”, questo atteggiamento fa incontrare in se stessi la Parte di sé che vuole esplicitarsi, questa è Energia e sa andare a crearsi la situazione ottimale fuori di sé.

Chi va a crearsi il catalizzatore e a costruirsi la situazione catalizzante non è il nostro io razionale, è il nostro femminile.
Il femminile in noi, l’inconscio, è ricco di tutte le potenzialità necessarie per costruire la situazione catalizzante. Il maschile in noi è la consapevolezza che una nuova Volontà sta emergendo. Il maschile, nel momento che, consapevolmente o meno, lascia spazio alla parte femminile, permette all’essere di mettere in circolazione energie nuove e possibili nuovi perché le situazioni nuove diventino reali.
Possiamo aumentare la consapevolezza di questa dinamica e così usarla meglio.
La situazione nuova che si crea non sempre ci sembra ottimale, perché noi la accostiamo e la sentiamo mentre siamo ancora dentro alle parti di noi oscure, malate; dentro ai nostri nodi, ma l’inconscio, il femminile, sa, egli sa di essersi creato ciò che effettivamente gli serve.
Ciò che gli serve è nella situazione in cui ci troviamo inseriti e che abbiamo davanti, questa è piena di quel “pane quotidiano” che nutre il nostro oggi. Questa, compiuta, dal di dentro, ci traghetterà verso Altro.

Ecco perché onorare il Presente.

Riconoscerlo come ciò che la Vita, che sa, oggi mi mette davanti.
Quando, finalmente, noi riusciamo a lasciarci andare, allora ci nutriamo, guariamo, cresciamo… a volte resistiamo. La resistenza sono quelle Parti di noi che, proprio in questa situazione, possono guarire, chiedono di guarire, ossia di esistere pienamente con la loro carica energetica. Sta nelle Parti di noi cui resistiamo di più l’Energia più forte, in quello che della situazione più non mi piace, in ciò che vorrei evitare. Perché ogni Parte di noi, anche quelle che pensiamo malate, soprattutto quelle che pensiamo malate, sbagliate, vanno bene così come sono, vanno solo riconosciute, lasciate essere ed agire, allora, l’energia espressa ci permetterà il benessere. Sono le parti che pensiamo sbagliate, malate, che mandano segnali, che danno problemi, sono le più vitali, conducono più forza, spingono, ci conducono verso situazioni nuove.




LA REALTÀ NUOVA È SEMPRE CONCRETA

Se siamo in un percorso di guarigione siamo in un sistema olistico. Siamo sempre olisticamente fondati. Perché una Parte di noi sia catalizzata e si attivi per guarire, non basta un catalizzatore mentale, non basta il pensiero catalizzante, è necessaria la situazione concreta o la persona concreta, fisicamente presente alla situazione, che catalizzi le Parti di noi all’interno del sistema. Perché il sentire, le emozioni sono quelle che ci conducono dentro noi stessi.
Questo, a volte, è difficile da riconoscere perché i nostri quadri concettuali sono radicati al contesto culturale in cui siamo inserirti e questi, spesso, non sono adeguati alle nostre esigenze più profonde così, tra le nostre spinte vitali e il nostro mentale insorge il conflitto. Qui albergano le depressioni, quando ci neghiamo le esperienze, i tentativi, il viverci le situazioni e così blocchiamo le nostre forze più profonde e sane.

Sta a noi penetrare il nostro io (il super-io fatto di concetti, regole, ideali) e la nostra storia, con le energie del nostro esigere più vitale, per fare quel sacro detto prima.
Imparare a fare, sempre più, il centro su se stessi, fare il sacro, così che i conflitti e i problemi si spostino da dentro a fuori di noi e noi cresciamo come personalità facendo crescere così anche il nostro star bene al mondo, il nostro benessere.
Perché ciò che adesso mi interpella e mi si impone davanti; ciò che adesso attiva il mio desiderio e che sento come fonte di benessere e di gioia, grazie al catalizzatore che il mio inconscio s’è creato, è ciò che adesso a me serve per andare a vivermi questa Parte di me che vuole manifestarsi, così che, nel suo esistere, io mi conosco, mi amo e sto bene.
La cosa che voglio, che desidero vivermi non è nel catalizzatore, né è il catalizzatore, essa è in me, è questa Parte di me che riconosco attiva, presente.
Il catalizzatore: situazione o persona è ciò che permette che questa parte di me s’illumini, sia illuminata e così io la veda, la percepisca. Io sento, di un sentire che mi conduce l’appartenenza, l’esclusività che, questa Parte di me, sono io. In questo insight mi abbraccio, mi accolgo, finalmente accogliendo di me questo che vedo e decidendo di dargli ciò che gli serve per essere pienamente.

Forse solo qui, all’interno della singola persona, trovano senso l’appartenenza e l’esclusività, come modalità dell’amarsi incondizionatamente; modalità che, se alimentate nelle relazioni con altre esistenze, rischiano di creare dipendenze e ricatti. Dio è Dio, perché innanzitutto ama se stesso, e non abdica da questa passione per se stesso.
Questo siamo.
Perché così la Vita vuole esprimersi in se stessa, in me, in ogni esistenza.
Ciò che esiste è proprio ciò che la VITA ha voluto essere. È il nostro giudizio che resiste alla VITA così com’è e le situazioni dolorose dell’esistenza sono tutto il bagaglio storico del nostro giudicare e resistere.
Qui sta la concretezza della vita, il credo dell’Alchimista.
Egli sa che c’è una e una sola realtà e che, per viverla pienamente bisogna penetrarla, da dentro se stessi.

La cascata

Per ciascuna di queste gocce
questa
è la grande occasione della vita.
E tutto si brucia in continui attimi
Di gocce che si danno…
… e noi
contempliamo la cascata.


L’ALCHIMISTA DEL CUORE


Arrivati a questo punto, c’è più dell’Alchimista. C’è l’Alchimista del cuore.

Una cosa sono le emozioni e i sentimenti… altra faccenda è il cuore.

Sapere che le cose, tutte le cose, sono dentro noi stessi non significa che in noi c’è la risposta reale, ultima e sola ad ogni nostra istanza. Credere che tutto si risolve in noi è, piuttosto, sapere che noi accogliamo il seme, ma esso, non è solo nostro.
Accogliamo e nutriamo un seme che ci accomuna a molti altri esseri che stanno vivendo questa avventura della vita.
Il seme, che sento in me, sarà germoglio e frutto fuori di me.
Il seme, il pensiero, la matrice di ciò che ci serve ci verrà incontro, fisicamente, dal mondo.
Qui incontriamo gli altri, che sono a specchio con noi e che, ogni istante ci permettono di verificare ciò che siamo. Gli altri, insieme ai quali il seme diventerà frutto, realizzazione.

Questo non è l’ultimo passaggio, è il momento in cui usciamo dall’illusione che la realtà sia ciò che stiamo vedendo e sperimentando, perché nella connessione con il Tutto ritroviamo il senso autentico del nostro essere Uno con tutti gli altri esseri. Poi ci sarà il passaggio della comprensione dell’essere creatore di se stessi e della propria storia quando di noi avremo recuperato la consapevolezza, non solo del nostro essere nel Tutto ma dell’istante in cui, dal Tutto, ci siamo mossi e, in un nuovo attimo di respiro, abbiamo criptato tutta la nostra profonda e vasta consapevolezza per essere un’identità qui sulla Terra.

Qui ritroviamo di noi stessi l’originalità, la singolarità, l’Uno, che mentre dice: “Sono Uno” e si sente tutto in tutti, anche dice: “Sono Uno” sapendo di essere unico, di essere l’espressione che quell’essere “Uno con tutti” s’è dato nell’essere “Uno in tutti”.
È passaggio indispensabile di riconduzione in se stessi dell’attimo della creazione, per cogliere se stessi nella dimensione di “Creatore”.

Ma in fondo, che siamo? Appena entriamo in quell’esperienza che ci fa cogliere come Uno, e cogliamo la verità, l’unica verità, perché l’Unità è l’unica verità (E. Zolla), ecco che avvertiamo il nostro essere Nulla, cogliamo l’illusione della realtà, di ogni realtà, anche della nostra stessa persona.
L’Alchimista del cuore sa questo.
Il pensiero, per quanto unificante e immenso è ancora pensiero, è ancora il regno dell’io. Solo il cuore giunge alla verità, il cuore coglie Tutto e Nulla, il cuore può accogliere e comprendere qualunque altro da me, a cominciare da questo altro da me, che sono io.

Il cuore può riempire la distanza e immettermi nel Tutto. Il cuore mi permette di far passare l’amore, mi insegna la compassione. Emerge quella parte di me che è “Creatore” e, a piccoli o a grandi passi, permettere alla luce della consapevolezza di illuminare me stessa e tutti; la mia storia, tutte le storie e la Storia.
Tutto e niente, io e nulla, altro… stare in tutto, godere di tutto e tutti.
Ecco l’Alchimista e il suo potere, perché l’Alchimista del cuore ha lasciato ogni potere.

Questo punto, che è il punto d’arrivo, è anche la ri-partenza. È sempre stato in noi, tutto il resto è relativo ma anche, per me che l’ho creato, estremamente importante.
È il mio passaggio, ora.

Perché ogni cosa, ogni Parte di me va bene così, com’è.

Questo è il punto in cui passiamo dallo psicologico all’ontologico e troviamo in noi la fonte per dare riconoscimento ad ogni Parte di noi e, permettendole di esistere, godere di essere e di essere ciò che siamo, come siamo.
Ontologico: cogliere il Senso, il Verbo, che si fa forma nella mia esistenza, in ogni esistenza.
È il senso religioso in noi.
Cogliere l’Intelligenza Sapienziale, il senso ultimo, e mai definitivo, delle esistenze, di noi stessi, delle cose, della VITA che, così come sono le esistenze, adesso, in ogni adesso, vuole essere.
Solo nell’adesso sta l’esistenza - il senso che è la forza della cosa.

L’Intelligenza Sapienziale è il senso di ogni singola esistenza, dell’essere per se stesso e il senso che ogni singola esistenza ha in relazione al Tutto.
L’Intelligenza Sapienziale è godere l’esistenza, godere se stessi, godere di esisterSi.
Non è una conoscenza razionale, è incontrare l’Essere nell’essere, incontrare le cose e godere di se stessi e del mondo.
L’Intelligenza Sapienziale è l’Abbraccio dell’essere a se stesso, riconosciutosi nel suo essere Uomo pienamente manifesto e vissuto in questo uomo, in questa donna.
Abbraccio che genera, energia che nutre.

Quello che sono va benissimo, è Tutto, oggi è il massimo perché Qualcosa/ Qualcuno che Sono, la Parte di me oltre il corpo, oltre il Tempo e lo Spazio, ma anche tutt’uno con essi, Crede che così Sono e così si è voluta dare nella Realtà, perciò un’Esistenza Buona, OK.
Quel Qualcuno/Qualcosa e, nominandolo, nomino anche me stessa in me stessa e oltre me stessa e in quell’Oltre che ancora sono e posso essere nella Parte Potenziale di me, che Crede in ciò che È, in ciò che ha scelto come esistenza, così si ama e vuole essere .

E la luce della stella che sono, brilla.





A te, che sei… cielo e terra

In te, fatta terra
il cielo ha perso la sua stella più bella?

No.
Il cielo sa che la terra è l’Altra parte di se stesso
egli ora tocca la terra
e, fiducioso, la visita.

Le stelle sono lassù e quaggiù
quaggiù e lassù.
La Luce è in tutte le Cose
del cielo e della terra.




ONTOGENESI

Cogliere la storia della forma di creazione che sono, che ciascuno é.
Sono, comunque sono, sono: “comunque sono è sinora mancato al mondo per accogliere la Creazione con le sue differenze identificative”.
Comunque sono, affermazione necessaria per riconoscere ed integrare qualsiasi Parte di me e di ciò che nella Creazione, sono.
Passaggio necessario per uscire dal Vuoto, dalle separazioni, dalla sofferenza.
Passaggio che immediatamente mi libera da me stessa: semplicemente non mi serve più affermarmi e nominarmi, sono, nel Tutto.

Ora il Vuoto, finalmente, lo colgo per ciò che realmente è: un Pieno di possibilità.
Quando il mio buco nero, finalmente, diventa la fonte più forte di potenzialità e di forza…la sofferenza è la mia forza, che da sempre sento presente nelle mie mani.
Qui è il punto d’eterno in cui, ciò che ora avverto come sofferenza, si cambia in gioia, perché sofferenza è solo una modalità di viversi le cose e questa può essere cambiata.
Questo che accade è ciò che la Vita vuole essere, proprio e solo questo.

Adesso mi muovo spinta da una forza che non sente ragione, che mi porta su percorsi nuovi, diversi, spesso fino a ieri o ancora oggi considerati proibiti, negati, detti: errore, caduta, peccato, pericolo…
Qualcosa ha rotto gli argini, le regole di ieri non trattengono più l’agire. Ancora aleggiano come spauracchi un po’ dentro un po’ fuori di me, ma ormai hanno perso autorità, non sono più i miei assoluti, né i miei riferimenti o paletti.
Come mai? Che succede? I dubbi, le paure, le norme, gli schemi, il dovere, tutto mi attraversa ma tutto si fa impermanente rispetto alla spinta di questa forza che mi porta.
Tutto avviene. Questo é.
Sono, comunque sono, sono.
Sento e ciò che sento… va bene.

La Forza prorompe, cos’è questa Forza? È la forza vitale, chiamata anche eros, spirito.
È la forza della Vita. Come agisce? Lavora dentro di noi, prende respiro dentro noi, emerge dagli interstizi del nostro essere. Si fa largo dove una maglia del nostro mentale cede, dove, esaurito il pensare, l’agire, ancora la Coscienza, la mia persona, non ha vissuto tutto di sé.
Si fa strada nelle nostre malattie, ansie, tensioni, nella rabbia, nella paura. Sono i miei animali interiori, il mio essere biologico, la mia anima psichica non vissuta che chiama, preme per essere ciò che sono.
Quando finalmente esaurita la rassegnazione e la ragionevolezza stiamo nella nostra ansia, nel nostro disagio senza rimuoverli, fuggirli, disconoscerli.

Così per tutti gli altri sintomi che ci avvelenano la giornata. Stiamo in essi. Sapendo che questo è il pane di oggi, sapendo insieme che già oggi siamo Altro, siamo benessere. Sappiamo che essi sono conduttori di Altro, di un senso che sta in fondo, e solo in fondo, al rovescio di quest’ansia, di questo malessere.
Che proprio questo disagio o questo dolore ha, in fondo a se stesso, la risposta.
Esso è quel qualcosa dentro noi che sa già dove sta il benessere, basta ascoltarlo e lasciarsi portare.




LE FORZE NELLE NOSTRE MANI

La forza d’inerzia è tutta l’energia che ora sentiamo come sofferenza e che dobbiamo cambiare in gioia.
Fare un’alchimia, un processo quantico; cambiare l’acqua in vino; le tenebre in luce.
Non è che ci sono le tenebre e la luce, sono le stesse tenebre che restano tali o che s’illuminano. Va bene in ogni caso, qui è la forza della Vita: luce e tenebre lasciate così come sono, perché così va bene, così è la Vita.
La realtà è un tutto, una fusione, sta ad ognuno di noi mettersi davanti alla propria forza d’inerzia a cambiarla in gioia, sapendo che è già gioia.
Sta ad ognuno riconoscere le proprie tenebre e la loro legittimità ad esistere, credere nella grande potenzialità che racchiudono.

Lasciamo che il nostro mentale si abbeveri di Luce.
Si alimenti delle sue stesse tenebre così che, masticate, impastate, assimilate, sprigionino tutta la loro energia.
La Luce che Sono.

Non aspettare l’aiuto, né aiutare, né essere aiutati, solo, ciascuno crede che ha in sé la Forza. Tutta la Forza per guarire, rinascere, vivere.





LA PREGHIERA RICONDOTTA DENTRO L’UOMO

“Padre nostro che sei nei cieli”: i miei cieli interiori, che incontro e godo quando mi riconosco e amo.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: da me, immersa nell’Universo, vengono le risorse per l’oggi, tutte.
Quando riconduco e riconosco come parti di me quei livelli di creazione che ho sempre chiamato “il divino”.
Non sono mai sola, non sono mai abbandonata, se non a me stessa e l’abbandono a me stessa è sempre dolce, è sempre abbraccio fecondo.
Pregare facendo risuonare in me, nel mio corpo, nei miei pensieri, nel sentire, nel credere, i suoni, le parole fino a ieri lanciate fuori di me ad un ipotetico Dio, disperdendo così la forza del mio gridare, amare, chiedere, volere, aggredire, ringraziare, onorare.
Così per ogni essere, ogni persona, uomo o donna, figlio, fatto diventare il senso del mio esistere… vi ri-conduco dentro me, solo da qui emergete veri e correlati a me, sicuramente.




TUTTO RICONDURRE DENTRO ME CHE SONO, CIELO E TERRA.

Sono la Forza che sta al centro della cosa più potente che c’è, il Pensiero.
Ne sono l’Anima, la Forza, la Vita.
Prendimi per mano, stringimi, trattienimi come si stringe e si trattiene un serpente, senza via di scampo, senza altra possibilità se non quella di lasciarti attraversare, tutta, per ogni vertebra della tua schiena, dal brivido gelido e infuocato che nasce dal tuo sentire e sapere di aver in mano un serpente,
di più, la morte o la vita
e di non poter fare altro se non stringerlo con forza, fino a stringerlo appassionatamente, sapendo, finalmente, che questo e nient’altro che questo, hai cercato per tutta la tua esistenza.




Segreto n. 7: Percepire e Conoscere le chiavi, le funzioni, le dinamiche che sottostanno e regolano l’esistenza di ogni cosa ci permette di diventare i creatori della nostra realtà. Usare la forza di emozioni e sentimenti, e la forza dell’eros, per creare la propria realtà.