venerdì 4 settembre 2009

INVIDIA



Perciò è così forte, profondo
e aderente a me:
perché io, in Akenathon, voglio me.
Voglio Lui complementare a me
che mi ritorni me.
Il mio grande io vuole, non Akenathon
ma essere lui, in Akenathon.



*** ***


Ho conosciuto la Grande Separazione
perciò ora canto, rido, gioco…
Ho imparato a dimorare con il Vuoto,
ad attendere,
oltre ogni ragionevole attesa,
fare tardi con il Vuoto

gusto, ora
la terra, le acque, il Cielo:
Signoria di ciò che sembrava vuoto.



Quanto è grande il mondo! Plano sulla vastità del mio desiderio che vedo incarnato così efficacemente e sapientemente nelle vite degli altri.
Mi rode dentro, uh! Quanto li sento bene e chiari questo rotolio e sordo mormorio delle mie viscere che, nonostante io tenti di controllarne il ragionare, dilagano, inondano, allagano tutto il mio sentire e tutto il mio essere. Mi sento un tutt’uno con ciò che vedo davanti a me, e non è mio: il suo uomo, la sua donna, i suoi soldi, la sua casa, il suo sorriso, la sua sfacciata fortuna e il mio giorno, così triste, così povero e infelice, così sfortunato.
Lei sì e io no, gli altri sì e io no.
Eppure, io sono meglio di loro, saprei usarle meglio quelle cose, amarle di più quelle persone.
C’è un legame forte tra me e la persona che è dell’altro, tra me e la cosa che non è mia.
Quasi l’altro, colui che sta godendo della relazione e del mondo, mi intralciano, sono un ostacolo al mio arrivare all’obiettivo, sì perché l’altro è arrivato sulla meta che poteva essere mia, era sicuramente mia!
Tutto andrebbe bene a me, tutto ciò che vedo non mio, starebbe benissimo nel mio mondo!

Questo sento, questo sono ora, insieme alla resistenza che avverto in me perché no, non è possibile essere così invidiosi! Non voglio essere “invidia”!
La lotta, tra me e me stessa: contesa tra un sentire forte che vuole dire, che pesta i piedi, che prepotentemente occupa la mia testa e il dover essere perché: “Non mi si addice questa prepotenza!”.
La lotta in me, la separazione.

Qualcosa, in tutta questa tensione, si sposta, si stacca dal sentire e riesce ad osservarlo. Quanto turbinare tra i miei pensieri e quanto essi stuzzicano, alimentano il pentolone delle mie forze interiori. Comincio a dirmi: “Io non sono più ciò che dovrei essere: non sono mia madre, non sono la mia maestra, né il mio prete o chi mi diceva che volere ciò che l’altro ha, è sconveniente” e l’invidia insiste, s’insedia in me, mi ha vinta. Così la prepotenza, così la rabbia nel vedere come e quanto l’altro si sta legittimamente godendo ciò che ha costruito, di più, ciò che gli è stato regalato.
Osservo: quanto è grande il mio volere!

Comincio a leggere qualcosa… quante sono le cose che mi piacciono! Come sono esigente, raffinata, nel mio volere!

L’INVIDIA CHE PROVO PER LE PERSONE MI STA DANDO LA MISURA DELLA MIA VASTITÀ, DELLA MIA GRANDEZZA.

Tutte le cose belle mi attirano, tutti gli amori felici m’innamorano.
Quanto è grande il mio spazio interiore!
E, mentre vedo il vuoto, perché colgo il mio non vivermi, lo vedo illuminarsi di chiavi, di criteri di scelta, di caratteristiche con le quali, mi rendo conto, scelgo e godo, io, le persone e le cose. Mi avverto più vicina e presente a me stessa in questo lavoro interiore di confronto, discriminazione e scelta, che la parte di me più profonda e mia, sta continuamente attivando.

No, ciò che è dell’Altro non è mio, né è in relazione a me perché, effettivamente, non m’interessa, non è lui, lei o quella cosa che voglio.
Anzi, proprio non voglio.
Adesso mi basta sapere che ho, ben attivi, dei catalizzatori potentissimi e la mia potenza la riconosco ora nell’intensità delle forze che m’hanno attraversato.
Io non sono ciò che l’altro mi può dare, né ciò che una cosa può arricchire di me, sono queste forze, viste nella loro nudità e nella loro efficacia.
Esse si danno a me da una gratuità che le fa esistenti e che, sento, mi abita.
Mi posso nutrire di queste forze e mi pacifico, il resto, ciò che è buono per me, verrà.





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