venerdì 4 settembre 2009

RABBIA



Vicina all’Urlo, ma in esso non ancora ancorata.
Ancora, l’abbandono del mio essere capienza non coincide tenacemente col cratere di quel vulcano che serba, in fondo alla mia anima, l’urlo.

Ancora, la mia carne non è irrimediabilmente lacerata tanto da alimentarsi del terrore del suo stesso urlo.

Ancora mi difendo, tento di proteggermi da quel vuoto/pieno incandescente che brucerà ogni residuo di vita illusoria, ogni castello dell’io che caparbiamente, in fretta, sempre più disordinatamente, continuo a costruire.


La rabbia serpeggia in me e, se non la agisco, lavora dentro. Poi, una sera mi ritrovo le mani e le dita che si contorcono da sole, devo sbattere qualcosa per terra e prendo tutto ciò che mi passa sottomano: i miei occhiali, lo specchio, la tazza e il piatto. Tutto a terra, con forza e tutto per non prendere il pugno e sbatterlo addosso a mia figlia.
Ma almeno l’ho portata fuori questa forza.
E adesso sto, qui, sfiancata e mi osservo in questa vittoriosa pace ripercorrendo, con sorpresa e tranquillità, ciò che ho fatto. Tutta rabbia. Un corpo di rabbia. La rabbia stava qui dal pomeriggio, quando un dialogo con Tizzy non mi ha permesso di dire ciò che avevo dentro e di fare con lei il percorso che vedevo davanti. Quando lei interrompe il mio parlare non la sopporto.

Queste energie, se non le buttiamo fuori, diventano un corpo e noi, invece di trovarci davanti solo una figlia che dice le parolacce e vorrebbe farci sentire un niente, ci ritroviamo davanti l’aggressore che ci assalta. Rabbia che può raggiungere livelli di compressione e rimozione tali che un giorno possiamo avere di fronte un aggressore che, al massimo di quella che sembra la sua, invece è la nostra rabbia, ci uccide.

Meglio mia figlia.

È cosi’, ora l’ho scritto ma…
Io e lei non siamo solo questo. Questo è passato e non esiste più. Adesso vado di là e le dico buonanotte e domani è come se niente fosse accaduto.

Ma credo che con mia figlia farò un discorso chiaro.
Visto che si crede adulta, le faccio fare l’adulta.


*** ***


Il sole il cielo la luna le stelle,
l’orrido le vette
e i prati verdi:
luoghi dell’infinito fattosi bambino.

Sapere di averli dentro,
cercarli, incamminandoci su sentieri incantati.

Lasciarli esplodere in me.

Respirare profondamente
dai tuoi occhi
l’universo che s’è aperto nel mio cuore.

Rabbia: alimenti prenatali, forze che nutrono la mia anima vegetale. La rabbia ha scavato dentro, dentro a tutte le situazioni di vita che mi sono creata per sapere chi sono e per darmi un senso.

Perché il vivermi e il condividermi col mondo è stato così sofferto?
Perché tutto ha funzionato in me come un arato che costantemente scavava solchi profondi mettendo allo scoperto il calore e l’intimità della mia terra?
Perché non mi sono data attraverso gli altri tenerezza, dolcezza, accoglienza?
Questo arare, sradicare, negare, dentro ai miei sentimenti, ai miei pensieri, alla mia carne.
Non permettere al seme di germogliare, non permettergli l’acqua degli affetti, né il sole delle certezze e delle speranze. Né la sacrosanta linfa del riconoscimento e dell’amore per me stessa.
Rabbia, che mi ha condotto a peregrinare per le strade del mondo, a vagabondare nei cuori e nei mondi degli altri per elemosinare un amore che non poteva essere.
Nessuno può nutrire la mia Anima se non me stessa, nel mio riconoscermi parte del Mondo e Signora della mia esistenza.

RABBIA: LA MIA GRANDE CAPACITÀ DI FARE IL VUOTO, DI RINNOVARMI, DI ANDARE PER L’UNIVERSO SAPENDO CHE IN OGNI CUORE C’È UN PEZZETTO DI ME DA AMARE ED INTEGRARE.

Adesso, che ho definitivamente fissato la mia esistenza, al mio cuore.




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